Introduzione: le CPStories non sono solo racconti visti dallo staff di Campus Party. Sono anche storie narrate dagli stessi protagonisti. Quella di seguito è la storia scritta da Luca Livelli, che è stato un tutor nell’edizione di Campus Party Italia dedicata agli studenti delle scuole superiori: Campus Party Connect. Nel team di Luca c’era A., un ragazzo... come tutti. Ma la sua storia è tutta da leggere. Succede anche questo, a Campus Party.
Luca Livelli racconta: A.
Nota: il racconto è scritto in prima persona da Luca, che si identifica come ‘Tutor’ nei dialoghi. Il racconto è stato modificato e condensato dallo staff di Campus Party per maggiore chiarezza e semplicità di lettura. Il nome del ragazzo è stato sostituito con un’abbreviazione,, per rispettare la privacy del minore. Buona lettura.
Tutor: “Cosa ti piacerebbe fare nella vita?”
A.: “Niente, non mi piace niente.”
Tutor: “Ma dai, non può essere! Anche io ero come te alla tua età. Poi, crescendo, mi sono appassionato alla comunicazione ed ho trovato la mia strada.”
A.: “Prima ci hai detto che ti è sempre piaciuto il calcio: a me non piace nemmeno quello.”
È cominciato così il viaggio di A. a Campus Party Connect, con un misto di noia e disinteresse verso qualsiasi cosa avesse intorno: come se si trovasse in un mondo di cui non facesse veramente parte, nello stadio della sua vita lasciato in un angolo buio – seduto in panchina.
A. ha 17 anni e va in quinta superiore: quando entra a Campus Party Connect, nonostante si trovi a pochi mesi dalla maturità, non sa cosa fare della sua vita. È un ragazzo che a primo impatto sembra un ribelle – sicuramente uno di quelli che durante la lezione non passa l’ora a prendere appunti – ma guardandolo un po’ più attentamente si può capire che non è cattivo: anzi, è proprio buono. Solo un po’ spento.
È capitato a tutti di avere un momento difficile, un giorno in cui si ha una grande delusione e in cui sembra che il mondo stia per caderti addosso.
Una volta, mi è capitato di aver studiato un mese intero per un esame. Era estate e, mentre i miei amici uscivano per divertirsi, io ero costretto a rimanere chiuso in biblioteca: mattina, pomeriggio e spesso anche la sera. Quando è arrivato il giorno dell’esame ero abbastanza sicuro: sarebbe andata bene. L’ho pensato fino all’ultimo secondo, fino a quando il professore che mi ha interrogato mi ha fatto solo una domanda – e mi ha bocciato. Nel viaggio di ritorno mi sentivo stanco, come se qualcuno mi avesse tolto di colpo tutta l’energia che avevo in corpo. Sono tornato a casa, con il pensiero che tutti i sacrifici che avevo fatto non erano serviti a nulla. Appena sono entrato ho visto mio fratello e gli ho raccontato che l’esame non era andato bene. Dopo avermi fatto qualche domanda, mi ha detto che la mia vita non dipendeva da quell’esame, che ero in gamba. Poi mi ha dato un forte abbraccio.
Per me quell’abbraccio è stato importante, mi ha dato forza. Ho ricominciato a sentirmi caldo, come fossi accanto ad un camino in pieno inverno.
La prima volta che ho parlato con A. mi ha ricordato quel giorno: anche lui aveva bisogno di un abbraccio. Quando i ragazzi hanno cominciato a lavorare sul progetto A. non parlava molto, si limitava ad ascoltare quello che dicevano i suoi compagni.
“Cosa ne pensi, A.?”
Nel momento del confronto, molti tra i loro loghi si sono rivelati interessanti: ho assistito con piacere alla loro conversazione. Poi, è venuto il momento di A..
“Te cosa hai fatto, dai facci vedere” dice sempre il ragazzo più vicino a lui. “No, fa schifo” ribatte subito A.. “Ma dai che non è vero”, “Nessuno dei nostri è un capolavoro”, “Secondo me invece è carino” lo incoraggiarono i suoi compagni.
“Te fai anche grafica, giusto?” chiesi io. “Si”.
“Secondo me puoi essere molto utile alla squadra!”
In quel momento A. gira il foglio dalla parte del disegno, lo lancia al centro del tavolo e sbuffa, come fosse sicuro che a nessuno sarebbe piaciuto.
“Bello, mi piace” dice Marco, il ragazzo in fondo. “Carino, ce lo racconti?” chiede Sara.
Per un secondo A. spalanca gli occhi, incredulo che ai suoi compagni piacesse davvero. Da quel momento A. ha cominciato a lavorare attivamente con il gruppo, dando il suo contributo. Durante quei giorni, alla fine mi sono accorto che A. era un ragazzo molto creativo e, trovando qualcuno che credesse in lui, aveva cominciato a mettersi in gioco. Senza la paura che non fosse abbastanza bravo, senza la paura di essere giudicato dagli altri: intorno a quel tavolo faceva parte di una squadra.
Quando i suoi compagni gli facevano questa domanda, le prime volte non rispondeva nemmeno: si limitava ad alzare le spalle accompagnando una smorfia e subito dopo si girava: sembrava non ci fosse speranza, che non avrebbe mai contribuito al lavoro del team.
Poi, durante il percorso di creazione del progetto da presentare, siamo arrivati alla creazione del logo: A. fa una scuola di grafica e gli piace disegnare, anche se non lo ammetterebbe mai.
“Cosa scegliamo come logo?” chiede un ragazzo seduto in fondo al tavolo.
“Potremmo fare un disegno che rappresenti la nostra squadra” dice una ragazza che solitamente è molto timida.
“Perché non proviamo a buttare giù qualcosa tutti e poi vediamo quello che ci piace di più?” propone Alessandro, il ragazzo seduto alla destra di A..
E così hanno fatto.
Erano tutti uniti per raggiungere un obiettivo.
In Campus Party Connect A. ha percorso una strada molto più lunga di cinque giorni: ha scavato dentro se stesso come non aveva mai fatto. Inizialmente per lui è stato come cadere in un burrone: durante la discesa pensava che non sarebbe mai riuscito a risalire in cima, così teneva gli occhi chiusi. Ad un certo punto però, mentre cadeva, ha sentito un suono: era una voce amica che lo stava chiamando.
Gli è venuto spontaneo aprire gli occhi e, accanto a lui, vedere dei rami: è il momento di aggrapparsi. Alza la testa e sente che la voce proviene dall’alto, probabilmente dalla cima del burrone.
Spinto dalla voglia di seguire questa voce comincia a risalire, ramo dopo ramo, passo dopo passo, fino ad arrivare in cima.
A quel punto si guarda intorno e non vede nessuno, poi riguarda il burrone da dove era risalito e rimane perplesso: era profondo, lui ci era caduto ma era riuscito a risalire.
Così guarda le sue braccia e si accorge che, senza nemmeno saperlo, aveva fatto qualcosa di incredibile. Ed il merito era solo suo, perché dentro di lui c’era qualcosa di grande.
Doveva solo aprire gli occhi.
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